Skip to main content

Ci vuole Coraggio! Il Covid-19 colpisce ancora: dopo quasi un anno e oltre due milioni di vittime sulla Terra, si mostra tutt’altro che appagato. Ci stiamo difendendo, ma la guerra è lontana dall’essere vinta. Si deve fare di più e meglio reinventandoci il necessario, magari scuotendo il vicino affinché si svegli dal torpore della fatalità e vesta le misure di protezione, ossia dall’apatia della delusione: non è tempo di piangere, speculare o ridere del virus, bensì è quello di pensarci con coraggio per vincerlo.

Sì, di questi tempi ci vuole coraggio a fare i propri doveri, mantenersi fedele alla società, chiedere giustizia, esercitare la curiosità, costruire, obbedire o addirittura disobbedire. Davanti all’offesa del virus il viaggiatore non si dispera, rielabora quello che succede come insegnamento da riporre nella sua coscienza. A maturazione lo porterà a essere non più interessato a distruggere quanto a comprendere il fine dell’uomo.

Quando ci vuole coraggio?

Ci vuole coraggio a dar coraggio a un familiare di una vittima della pandemia o di una malattia! Si va toccare un universo personale ignoto a chi non vi è ancora passato. Vale la buona regola di accompagnarlo nella ripartenza con un empatico silenzio.

Ci vuole coraggio pure nel biasimare chi nuota bene nell’inattività sterile, contento del presente. Inoltre ci vuole coraggio nell’ applaudire chi crea e continua a perfezionarsi e incompreso a rispondere con idee rifondanti.

Ci vuole coraggio nel cercare la soluzione in un altrove dai sacri significati. All’interno di questi stati dell’essere ben declinati s’innestano altre vette culturali le quali, connesse insieme, sublimano il piccolo uomo nel Tutto. Alla fine il giudizio divino sul caos dell’agire umano irrompe e il viandante può applaudire soddisfatto il suo essere uomo nuovo, gloriosa epifania di una nuova umanità.

Ci vuole coraggio nel rivelare al nipote il buon agire in nome dei doveri e dei diritti, della libertà e dell’uguaglianza tra gli uomini, della fraternità e della tolleranza praticata.

Ci vuole coraggio nel puntare il dito verso una società assillata da formichieri tutto sensi, vizi, abitudini, istruzione e giustizia male intesa, e nell’ indicare la soluzione puntando l’indice verso l’azzurro cielo. L’uomo attento è l’emblema del presente e del futuro, del sapere e del volere, dell’osare e del tacere, del seme e dell’albero, dell’ordine della pace e del caos della pandemia, della suggestione, della paura, del giudizio e della gioia.

Ma cos’è questo coraggio?

L’etimologia della termine coraggio rimanda a coratge (provenzale), a coratum (latino volgare) e a cor (cuore), forma domestica o cor habere (avere cuore) o cor agere (agire con cuore). Insomma, coraggio tresca con cuore dai cui aver coraggio, agire con cuore, attingere alla fonte del sentire e dell’ agire etico dell’uomo; possedere quindi la forza d’animo, la volontà necessaria per affrontare situazioni che la ratio definisce a rischio, difficili, penose e pure imprevedibili.

Il coraggio, in ogni caso, esclude il cuore pusillanime. Nell’uomo coraggioso il cuore è stenico e allenato a gestire il desiderio. Una voglia, una paura, una suggestione improvvisa mai giungerà alla sua volontà. La saggezza dovrà prima setacciarla circa le conseguenze sulla bellezza, sull’armonia del contesto personale, collettivo e naturale; nonchè sulle disponibilità di forze siano esse tempo e talento necessari alla sua realizzazione.

Soddisfatti tali requisiti, e solo allora, la volontà avrà campo libero di agire sulla mente!

In conclusione

Non deve meravigliare quindi che una tanta persona, quando ha deciso di agire, si esprima determinata e si elevi a propulsore di scelte e progetti inediti. E quando oltre alla ammirazione ed emulazione, qua e là germoglino frustrazioni e risentimenti, costui vola alto, altissimo fino all’orbita cara alle aquile per agire d’anticipo illuminando a giorno il buio dei quei vizi con la luce delle sue virtù.

Ragion per cui il coraggio non sopporta l’improvvisazione. Il buon viandante, una volta in cammino, sa pazientare: non cambia rotta al primo ululato o atto lusinghiero. Non perché ricerchi il gesto eroico, ma solo perché sa fronteggiare le emozioni, senza mai restarne prigioniero. Non indietreggia nel combattere consorzi appiattiti al compromesso e al tornaconto perché nell’incertezza sarà proprio il suo coraggio a decidere. Agli impauriti quindi, propongo Isaia 83,4. “Dite agli smarriti di cuore: coraggio, non temete!”

Altri orbitali infine sono da assegnare al coraggio che fa rima con sfacciataggine. A tali sfacciati direi: bandiamo le parole che giustificano e alimentano alibi o pretese inconsistenti. Nutriamoci di speranza, quella che incoraggia l’uomo a divenire, a rialzarsi e rimanere in strada, sulla stessa strada che magari aveva deciso di abbandonare quando tutto sembrava ormai finito.

Savino Roggia

CONTINUA A SEGUIRCI ISCRIVENDOTI ALLA NEWSLETTER